“Scuola della Costituzione e Buona Scuola”.

Resoconto del convegno in occasione della Giornata Mondiale dell´Insegnante istituita dall´Unesco

giovedì 5 ottobre 2017

Dalla scuola della Costituzione alla Buona Scuola passando per Don Milani” è il titolo del convegno nazionale, promosso questa mattina a Roma dalla Gilda degli Insegnanti e dall´Associazione Docenti Art. 33, in occasione della Giornata Mondiale dell´Insegnante istituita dall´Unesco.

Due le questioni principali affrontate dal dibattito: il sistema italiano dell´istruzione risponde ancora al dettato costituzionale? La scuola deve selezionare o garantire il successo formativo? Ecco, in estrema sintesi, gli interventi dei relatori intervenuti.

Frank Furedi, professore emerito di Sociologia all´Università del Kent, Canterbury (UK)

Quando parliamo di crisi dell´istruzione, ci dimentichiamo che il problema dell´istruzione riguarda soprattutto l´autorità del docente. Evitiamo di parlare dello status del docente e andiamo alla ricerca di mode educative, siamo convinti che se riusciamo a motivare i ragazzi risolveremo i nostri problemi didattici. Ciò assume forme di caricatura grottesca: in Inghilterra, per esempio, sono stati introdotti i cani in alcune classi per far sentire i ragazzi a loro agio.
Il trend attuale consiste nel trasmettere competenze invece di conoscenze, ma le competenze hanno a che vedere con la formazione, non con l´istruzione che è l´unico strumento in grado di aumentare il livello intellettuale. L´attività del docente è decisiva. In Europa la pedagogia trova ispirazione da ambiti estranei all´esperienza organica degli insegnanti, l´autorità dell´insegnante è sminuita mentre deifichiamo l´autorità dell´allievo. In questo tipo di istruzione centrata sullo studente si celebra un approccio democratico e si è contro si viene tacciati di essere antidemocratici. L´insegnante deve avere la capacità di comunicare con autorevolezza e questa capacità è basata sulla fiducia che l´insegnante ha nella propria disciplina, non servono trucchetti motivazionali perché la passione per la disciplina diventa la chiave per l´autorevolezza. I politici rispondono tutti allo stesso dogma: non possiamo fidarci dei docenti perché se vengono lasciati liberi di dare giudizi potrebbero commettere errori. Dunque, bisogna controllarli. Il docente, invece, deve essere lasciato libero di esercitare la propria capacità di giudizio, la sua autorità deve essere riconosciuta e rispettata, altrimenti le generazioni future non avranno fonti di ispirazione. Dobbiamo celebrare le conoscenze basate sulle discipline che rappresentano il lascito intellettuale e forniscono le fondamenta dello sviluppo intellettivo degli studenti. Dobbiamo dire no a soggetti esterni che pensano di poter colonizzare le menti dei ragazzi attraverso la didattica.

Adolfo Scotto Di Luzio, professore di Storia della Pedagogia all´Università degli Studi di Bergamo

Siamo di fronte a uno sradicamento dell´identità dell´insegnante dal terreno nel quale egli ha sempre pensato il proprio ruolo. Nella scuola italiana non esiste più l´idea che lo Stato, attraverso i programmi nazionali, debba dare una direzione politica e intellettuale alla scuola, e si preferisce delegare questo importante e delicato compito alle agenzie educative. A partire dagli anni ´50 con l´introduzione del principio dell´autonomia scolastica si costruiscono le basi della disuguaglianza sociale. Quando non ci sono più i programmi, chi dice come si fa scuola nelle classi? Le nuove modalità di insegnamento sono astruse e, poiché non tutti i docenti sanno o vogliono escogitare nuove strategie didattiche, i metodi vengono tratti dalla manualistica. L´autonomia scolastica ha espropriato gli insegnanti delle loro capacità e della loro intelligenza, trasferendo il compito di definire cosa si insegna alle case editrici che lucrano sul commercio dei manuali. Queste agenzie extrascolastiche non si preoccupano dell´aspetto educativo.
Gli insegnanti devono opporsi all´introduzione dello smartphone nelle classi che delegittima la funzione docente. La scuola non è un servizio delegato delle famiglie per i giovani, dobbiamo recuperare le matrici liberali della nostra scuola.

Ermanno Bencivenga, professore di Filosofia all´Università della California, Irvine (USA)

Il pensiero è in crisi, anzi, è scomparso. Come fare per salvarlo? Pensare è ragionare, cioè tracciare collegamenti necessari fra idee e contenuti mentali. Vedo questa capacità molto a rischio, minacciata dal prevalere degli strumenti informatici. La logica ha prosperato in una lunga era di carenza informativa in cui avevamo pochi dati a disposizione e dovevamo compiere la magia di dedurne altri dati che non avevamo. Oggi invece i dati sono a disposizione costantemente in tempo reale e quel bisogno che ci aveva spinto alla deduzione si perde e quando si perde la necessità di una funzione di solito gli esseri umani perdono anche l´abilità.. Dovremmo istituire una pratica utile, concreta, costante, quotidiana di esercizi di ragionamento che ci consentano di supplire a quello che non ci è più dato automaticamente dalle nostre abitudini quotidiane. Quindi propongo l´insegnamento della logica nelle scuole di ogni ordine e grado.

Fabrizio Reberschegg, presidente Associazione Docenti Art. 33

Dai tempi di Don Milani a oggi nulla è cambiato: il tentativo, messo in atto dalla Buona Scuola, di rendere la scuola italiana più inclusiva e democratica, per esempio con il progetto di aprire le scuole al territorio anche durante il pomeriggio e in estate, si sta rivelando un boomerang.

Rino Di Meglio, coordinatore nazionale Gilda degli Insegnanti

Oggi mettere in discussione l´autonomia scolastica equivale a parlare male di Garibaldi nel Risorgimento. L´autonomia dei programmi scolastici è folle perché consente alle scuole di farsi concorrenza fra di loro, creando profonde diseguaglianze. La scuola non può garantire il successo formativo ma deve assicurare a tutti gli studenti lo stesso punto di partenza. Poi ogni allievo raggiungerà un diverso traguardo a seconda delle proprie capacità individuali.